_DSC1724La questione riguarda in particolare l’arcata mascellare superiore, a causa della presenza delle cavità pneumiche, che toglie ulteriore spazio al tessuto osseo. Capita così che l’osso residuo non sia in grado di ricevere gli impianti in numero adeguato e, soprattutto, con la lunghezza necessaria.

Per ovviare all’inconveniente, sono state messe a punto ormai da diversi anni varie tecniche, che mirano a una nuova formazione ossea: in genere, consistono nel effettuare un innesto di osso tra l’osso residuo dell’arcata mascellare e la membrana sinusale, ossia la membrana che delinea la cavità pneumica.Il tessuto necessario all’innesto veniva di solito prelevato da siti donatori, come il mento o la mandibola dello stesso paziente.

Con la nuova metodologia tale innesto osseo non è più necessario, dato che è lo stesso tessuto dell’arcata superiore a “rigenerarsi” e a creare la formazione di un nuovo osso.

Ma come è possibile? La spiegazione è semplice. In pratica, si è visto che creando uno spazio tra membrana sinusale e osso residuo, si dà la possibilità alle cellule staminali ed mesenchimali presenti nel coagulo sanguigno che qui si viene a raccogliere, di trasformarsi in osteoblasti e quindi in nuovo osso.In un’unica seduta, in anestesia locale associata a una leggera sedazione, viene aperta una “finestra” ossea in corrispondenza della membrana sinusale, che viene scollata e innalzata. Quindi, al di sotto, vengono inseriti due o tre impianti, la cui funzione è quella di tenerla sollevata, un po’ come se fossero dei pilastri che sostengono una tenda. Con dei punti di sutura, viene poi richiusa la gengiva. Perché l’osso si ricrei completamente sono necessari 12 mesi: trascorso questo tempo, gli impianti vengono nuovamente portati alla luce e su di essi vengono inseriti i denti definitivi.

La tecnica viene generalmente applicata nei casi in cui a dover essere sostituiti siano premolari o molari, e in cui il resto della dentatura si presenti sana. I tempi relativamente lunghi dell’intera procedura sono compensati dal vantaggio di una minore invasività per il paziente, a cui viene “risparmiato” l’intervento chirurgico che sarebbe necessario per il prelievo osseo da un sito donatore.

Il post-operatorio, invece, non si differenzia da quello delle altre tecniche implantologiche. L’edema provocato dall’intervento è destinato a regredire nel giro di sette-otto giorni. Dopodiché il paziente può riprendere tranquillamente la vita normale.

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